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Imparare a suonare uno strumento musicale: perchè diventare musicisti?

Imparare a suonare uno strumento musicale: perchè diventare musicisti?
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Non è mai troppo tardi, neanche per imparare a suonare uno strumento musicale, ma farlo da bambini potrebbe portare qualche vantaggio in più.

Imparare a suonare uno strumento musicale: perchè diventare musicisti?

Nina Kraus, neurobiologa presso la Northwestern University, da tempo indaga sugli effetti che la musica può avere sulla plasticità cerebrale e sulle abilità cognitive e, nel suo ultimo lavoro, ha coinvolto 44 adulti tra i 55 e i 76 anni per valutare la prontezza del loro cervello nel reagire alla percezione di suoni vocali: in queste persone è stata misurata l’attività elettrica della regione del tronco encefalico che processa i suoni mentre ascoltavano una voce che pronunciava ripetutamente una sillaba.

Chi aveva seguito da bambino lezioni di musica, per un periodo dai quattro ai quattordici anni, mostrava una più rapida risposta cerebrale alla percezione del suono, di circa un millisecondo più veloce rispetto a chi invece non aveva familiarizzato da piccolo con uno strumento musicale.

«Si tratta di piccolissime differenze temporali – sottolinea Kraus -, ma se le consideriamo per milioni di neuroni, allora possono fare la differenza nella capacità di un anziano nel reagire ai suoni». Il fatto sorprendente poi era che la maggior reattività cerebrale riguardava anche chi non toccava uno strumento da molto tempo, anche da 40 anni.

I positivi effetti che studiare musica e imparare a suonare in giovane età avrebbe sulla mente non andrebbero dunque dispersi, durerebbero nel tempo, fino a farsi sentire anche ben oltre la cinquantina e, secondo Kraus e colleghi, tanti più anni un bambino ha passato a dilettarsi con uno strumento, tanto più ne beneficerà la sua mente adulta. «La velocità con cui il cervello elabora e discrimina i suoni è una delle prime abilità a essere intaccata dall’invecchiamento e riuscire a contrastare questo processo potrebbe migliorare molto la vita degli anziani», conclude l’esperta.

Basterebbero quindi anche pochi anni trascorsi a studiare note, diesis e bemolle in giovane età, per garantirsi un cervello più in salute da anziani.

Le ragioni per imparare a suonare sono molteplici: è un apprendimento esemplare, che insegna a gestire gli errori in tempo reale, sviluppa la società e ci eleva culturalmente.

Se volete misurare il successo di un progetto di educazione musicale, prendete come riferimento il sottoscritto e non Stefano Bollani. Bollani è un’eccezione eccezionale, io sono un modestissimo pianista dilettante, ovvero un cittadino semplice della città della musica. Un buon programma di educazione musicale dovrebbe riempire il mondo di persone in grado di fare musica, suonare uno strumento, cantare, leggere uno spartito, accompagnare un canto.

Un esercito si spera grande di produttori e non di meri consumatori; e se non tutti possono essere l’artista Bollani, vi assicuro che molti possono essere il pianista Casati. Che cosa ha imparato quest’ultimo? Le ricette e i metodi di insegnamento sono tanti, ma poche cose contano come lo scoprire il piacere di suonare.

Attenzione all’equivoco insidioso: non sto dicendo che i metodi d’insegnamento debbano per forza essere ludici e divertenti; sto dicendo che alla fine dell’apprendimento dev’esserci un momento divertente, che a quel punto non servirà nemmeno sottolineare e valorizzare (ma che sarebbe certo un peccato nascondere e scoraggiare).

Come ben dice Richard Sennet, nel gesto tecnico – nell’esecuzione cesellata di un arpeggio, per esempio – si nasconde una storia di conquiste e di emozioni, che vanno raccontate a rovescio, scardinando la fissazione sull’insegnamento ludico. “Quando mi esercito al violoncello, voglio ripetere senza mai smettere un gesto fisico per farlo meglio; ma voglio anche farlo meglio per poterlo rifare”: Se mi si passa l’analogia, non c’è un modo ludico di insegnare l’algebra, ma quando la si è imparata, risolvere equazioni è divertente come e più di un gioco.

Perché allora studiare musica, imparare a suonare uno strumento o a cantare? Voglio dare alcune ragioni. È un apprendimento multimodale: vista, tatto, movimento, respiro, vengono associati tra loro passo a passo nella costruzione di edifici complessi e meravigliosi; si scoprono potenzialità enormi ed estreme del proprio corpo e della propria mente.

È un apprendimento sociale, che si nutre dell’infinita pazienza ed esperienza dell’insegnante, del rispetto e dell’ammirazione del discente, della crescita di entrambi nel lungo percorso che li unisce.

È un apprendimento culturale, che non ci lascia spettatori inebetiti di fronte alla complessità delle opere che ascoltiamo, ma ci fa sentire partecipi nella loro produzione. È un apprendimento esemplare, che insegna a gestire gli errori in tempo reale: i musicisti sbagliano sulla scena (anche Bollani, che penso confermerà), ma non possono fermarsi e correggere; sanno che l’errore è parte della vita e che si deve trovare in tempo reale un modo di andare avanti, sempre e comunque.

È un apprendimento che conduce a saper svolgere un’attività dal vivo, in controtendenza rispetto alle pratiche di copia e incolla, all’editing ossessivo che nasconde il fare e il produrre. Infine: è un processo lungo e, a ben vedere, senza traguardo, dato che un progresso è sempre possibile, a qualsiasi livello di competenza ed esperienza; in controtendenza, direi, rispetto a una visione del lavoro che nella società contemporanea si degrada, parcellizza e automatizza.

Tanto più in controtendenza in quanto il fare musica è fonte di piacere: fa star bene.

A cura di Roberto Casati

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