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Intervista a Gaia Riva

Intervista a Gaia Riva - Plindo Music
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In questa intervista troviamo una Gaia Riva spietata con chi la intervista, con l’universo, ed anche (e soprattutto) con se stessa.

Intervista a Gaia Riva - Plindo Music

La musica italiana è popolata per lo più di voci femminili tutte uguali e tendenti allo stesso genere musicale. Vi invitiamo a scoprirne una in grado di reggere il confronto con le grandi artiste del panorama pop-rock internazionale. E oltre al talento, scoprirete che c’è molto altro per cui vale la pena conoscerla!

Premessa: a questa intervista risponderò in modo un po’ diverso dal solito, perchè diversa è la mia situazione, diversa sono io, e anche perchè a volte è più interessante leggere qualcosa di non scontato in un mondo che parla sempre la stessa lingua.

Gaia ma che fine hai fatto? E’ tanto che non si sente parlare di te…

Che fine hai fatto è una delle frasi che odio di più al mondo. È come se fossi finita nel bidone della spazzatura cosmica, o sparita a raccogliere cacche e cartacce in qualche brutto paesello della pianura padana. Ti chiedono “ma che fine hai fatto??”, e implicitamente ti stanno dando della fallita. Non lo fanno apposta, non lo pensano neppure. Ma la frase in sè comunica quello. Il fatto che i media non parlino di te non significa aver fatto una “fine”. Le persone continuano ad esistere anche senza il plauso del web, della tv o della carta stampata, e quello che hanno da dire anche.

Detto questo, anche se mi dissocio dalla mia “fine”, posso dire senza peli sulla lingua di non essere né felice né soddisfatta.

È un periodo difficile, pieno di crisi creative, umane e di prospettiva. Non so più cosa voglio fare, né cosa posso realmente fare.

Sono piena di me come non mai, e al tempo stesso al vertice della mia insicurezza. Sono pensieri, sensazioni e domande che riguardano tanti settori, non solo quello musicale. Ho messo la musica in uno stato di ipersonno. A volte mi sembra di voler ricominciare. Scrivo qualcosa (di bello), canticchio… ma sono episodi troppo sporadici per avere un reale significato. Sono come scintille che rimangono sotto la cenere di un fuoco spento. Non riaccenderanno il fuoco, probabilmente, ma restano pericolose. E per fortuna che ci sono.

Nel 2006 firmi il tuo primo contratto con Sony/BMG e il tuo primo singolo One è inserito nella Compilation di Festivalbar 2006, nella Wind Summer Collection ed è scelto come colonna sonora dello spot Lancia Phedra. Io ti ho scoperta così; all’inizio pensando si trattasse di un brano inedito di Anouk, mi sono precipitata a ricercarlo per poi scoprire, con grande soddisfazione, Gaia Riva! Anche il vostro percorso artistico in Italia si assomiglia. Un singolo di successo e poi lontano dalla ribalta. Complice il genere musicale, il fatto di cantare in inglese o che a cantarlo con tanta aggressività fosse una donna?

Non ne posso più di sentire nominare Anouk, ci credi? La gente pensa ancora di farmi un complimento, ma sbaglia. Anouk ha una gran bella voce e ho molto apprezzato il suo primo disco, complice la mia giovane età ed il momento musicale di allora. Rispecchiava molto l’energia che sentivo dentro, il mio carattere nella vita di tutti i giorni, il mio essere una bionda vestita da maschiaccio che metteva in riga tutti col sorriso.

A 21 anni ti identifichi con molta facilità. Essere paragonata a lei mi gratificava perché era una conferma del fatto che gli altri mi vedevano come mi percepivo io. Ma adesso basta. Anouk ha inanellato una serie di dischi di rara bruttezza, ha avuto 5 figli, ha cambiato voce, stile, aspetto e da quando esistono i social ha lasciato trapelare anche la persona che sta dietro il personaggio. Mi sta simpatica, è tosta, ma mi fa anche tenerezza. Io non sono così.

Sono molto più complessa, intelligente, profonda. Ho una poesia e un tormento – un tormento REALE, non di quelli millantati – che Anouk non ha mai avuto.

Quindi basta, acqua passata. Ciao ciao orso polare (quanti di voi sapevano che Anouk significa orso polare? Sono anche Superquark).

Tornando alla tua domanda, non credo che il nostro percorso sia stato così simile. Anouk in patria è una star. E va bene che essere una star in Olanda non è il massimo della vita, ma è comunque un bel risultato. Forse intendi in Italia.

Ma l’Italia è davvero un metro di misura che vale qualcosa?

Abbiamo fatto un pezzo che è piaciuto e poi siamo “sparite” (a proposito, ma dove siamo finite? ;P), ma secondo me non è dipeso dal genere, né dalla lingua o dal fatto di essere femmine incazzate in un mondo di uomini mosci. Queste sono cose che hanno sempre radici molto più profonde e complesse. Hanno a che fare con le persone che hai accanto, quelle che lavorano con/per te e anche con il tuo livello di maturità, inteso come “essere pronta in quel momento per quella cosa”. Io facevo acqua da tutte le parti, sotto tutti e tre gli aspetti.

Grazie a Sony/BMG hai partecipato al Gran Galà di Festivalbar 2006, a Top of the Pops e al Giffoni Film Festival 2006 ma racconti di “divergenze artistiche” che ti fanno sentire sballottata, spaesata. “Mi buttano in mezzo a un mare senza salvagente (la promozione) sperando che arrivi a riva nuotando da sola. Non si prendono cura di me”. E non a caso, One arriva al 21esimo posto della classifica italiana dei singoli più venduti, nonostante la scarsissima promozione. Allora scegli di rompere il contratto per ricominciare da sola. Rimpianti? Pensi mai a come avresti potuto affrontare la cosa diversamente?

Che intervista pericolosa… sembrano domande fatte apposta per farmi finire nei guai o farmi sembrare insopportabile! Sì, ho dei rimpianti. Solo i cretini dicono di non averne nemmeno uno.

Il mio rimpianto riguarda uno specifico episodio, di cui però non voglio parlare. Al di là di quello, la mia opinione sulle persone che frequentavo non è minimamente cambiata. Ho solo scoperto che non è vero che il mondo della musica è pieno di cretini. È il mondo proprio che è pieno di cretini, quello della musica non lo è più di altri settori. Non è una gran bella consolazione?

Di quel periodo con Sony/BMG, dici ancora: “Non c’è comunicazione. Non mi fanno parlare.”. Mentre sei una che sembra aver molto da dire e nel tuo blog parli tanto, ti racconti, ti sveli. Al di là di un bisogno intrinseco, è una strategia che paga nei confronti dei propri fans?

Paga. Ancora c’è gente che mi legge dopo millenni, nonostante parli di tutto tranne che di musica e continui a postare e ripostare le vecchie canzoni, alcune persino di 10 anni fa.

Paga perchè uso facebook come un diario, ma senza filtri. Tiro fuori il meglio e il peggio di me, senza mezze misure. E sono entrambi affascinanti. Le persone si affezionano. Imparano a stimarmi soprattutto per quello che sono, non per le canzoni che ho scritto e cantato. Non smettono di sperare che riprenda a fare musica, ovviamente, ma credo di aver trovato il modo di non tagliare il cordone ombelicale tra me e loro. E sai, quando c’è ancora il cordone, al momento giusto basta tirare …

Il passaggio nel 2008 ad un’etichetta indipendente è quasi obbligato. Esce il tuo primo EP, Come and See, e un album, Frantic. Arrivi alla pubblicazione già stanca, dopo mesi di duro lavoro per poi scoprire che anche stavolta “niente di quello che è stato promesso succede”. Cosa consiglieresti ad un artista emergente per evitare esperienze negative simili alla tua?

Mamma mia che tristezza rileggere il mio percorso nelle tue domande. Ma una cosa che mi sia andata davvero bene c’è? :-/

Non consiglio niente agli artisti emergenti. Sono ancora troppo incazzata e scottata.

Sinceramente, spero che falliscano tutti, uno dopo l’altro. Che cadano come birilli sotto i colpi delle ingiustizie e delle fatalità. No, non mi auguro davvero il successo di nessuno al momento. Spero che apprezziate almeno la mia sincerità.

Nel giugno del 2009, crei la tua propria etichetta discografica Sun Music con l’amico produttore di sempre Andrea Noto. Nel 2010 esce il brano Bianco e Nero (Dicotomia), anticipando il secondo (bellissimo) album, Tutto Cade, questa volta interamente in lingua italiana e pubblicato in due parti. Finalmente te stessa, finalmente soli tu e Andrea, ma nel senso di “stelle”, e felici. Sei diplomata in Marketing e Comunicazione (dopo una laurea in ingegneria con lode). Ma non potevi pensarci prima?

Fare una mia etichetta è stata la peggiore scelta che potessi fare. Quindi anche se ci avessi pensato prima, sarebbe cambiato poco. Tornassi indietro mi risparmierei lo sbattimento, il sito istituzionale, i biglietti da visita … Tutte stronzate.

Ha senso fare un’etichetta se vuoi investire dei soldi. Anche su te stessa, ma devi investire. E ovviamente devi averli. Nel mio caso, la SUN MUSIC serviva solo come copertura, o meglio come finto intermediario tra me e i vari interlocutori (radio, stampa etc). Dico finto perchè la SUN ero io. Tutta la SUN. Da quella che gestisce le scartoffie, all’art director, a quella che stampa i codici a barre dei dischi che commercializza.

Fare l’artista è già una cosa difficile. Fare l’artista più il fake del proprio manager, produttore, stylist, fotografo,ufficio stampa e via all’infinito è un suicidio.

Il lato positivo è che decidevo tutto io, quindi tutto era nel mio stile, tutto era come mi piaceva. E non è poco, anzi. Ma poi devi saltare la staccionata del tuo orticello. Devi andare a farlo conoscere. E il tuo meraviglioso e curato giardino, se non lo vede nessuno, resta lì a marcire. E sarà superato da giardini schifosi magari con anche i nani di pietra dentro (il massimo dell’orrore) ma che si fanno un sacco di promozione e tengono aperti i cancelli.

A questo servono le etichette, quelle vere.

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