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Intervista a Reliever

Intervista a Reliever
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La musica come valvola di sfogo: viaggio all’interno dell’universo Reliever, tra note e concept.

Intervista a Reliever

Reliever è un progetto ambizioso: nato dalla mente (e dalle mani) di Pietro, eclettico chitarrista già noto nel panorama sardo, propone sonorità che oscillano costantemente tra le atmosfere eteree e sognanti dell’ambient ai riff potenti e cupi del metal più estremo; il tutto tenuto insieme da intricate strutture di matrice progressive. L’album di esordio, «Emerold», ha già convinto il pubblico.

Ciao Pietro, grazie per la disponibilità. Come presenteresti il progetto Reliever al pubblico? Cosa deve aspettarsi chi ti ascolta?

Grazie a voi per l’opportunità! Reliever è nato come un progetto di sfogo compositivo, è la liberazione di una delle mie vene creative ostruite da diversi anni. Sono lunghe traccie progressive con dinamiche che oscillano dalle minime alle massime: le parti “sospese” si alternano a quelle più violente. Tutto accompagnato dalla melodia costante di arpeggi e fraseggi che costituiscono il cuore di ogni brano.

L’album si intitola Emerold ed è composto da sette tracce interamente strumentali. Ciò che mi ha colpito è che le canzoni uniscono generi diversi, e al loro interno fondono sonorità differenti in maniera fluida e naturale. Come sono nati i pezzi e quali sono le tue principali fonti di ispirazione?

La strada che mi ha condotto alla realizzazione di Emerold è stata una sorpresa anche per me. Tutto nacque quando decisi di autoprodurre la mia musica, provando i suoni di ogni strumento, inizialmente pensati per il mio primo progetto solista chiamato ColdShade. Quando arrivai a provare quelli di una eventuale chitarra distorta e della batteria, composi la prima parte di Earthbeat.

Riascoltandola nei giorni seguenti decisi di svilupparla ulteriormente e di creare il progetto Reliever. Originariamente la mia idea era di comporre brani sporadicamente e pubblicarli man mano, approfittando della cosa per sperimentare anche nell’ambito del video-making. Nel giro di pochi mesi composi gran parte di quello che poi è diventato Emerold.
Musicalmente non mi piace precludermi niente, perciò in mezzo ci sono generi differenti: dall’ambient al metal estremo. Inutile negare l’influenza del melodic death metal svedese e del progressive.

Le canzoni hanno titoli suggestivi e sono la fusione di due o più parole. Puoi spiegarci il perché di questa scelta particolare e quale concept vi sia dietro?

Tutto in Emerold è un puro esperimento, una sorta di enigma da risolvere. Dalla musica alla grafica. L’assenza della voce mi ha portato ad utilizzare l’unica parola a mia disposizione, il titolo, per indirizzare l’ascoltatore al significato primario del brano.
I titoli sono una sorta di neologismo: da Emerald (smeraldo), Emerold (vecchio smeraldo, poiché è un album che avrei voluto fare da tanto tempo).

Da Heartbeat (battito cardiaco), viene Earthbeat (battito della terra), per ricordarci che il nostro pianeta è vivo e che noi dobbiamo vivere in esso, non manipolarlo abusandone a nostro vantaggio.

Da Bloodshed (spargimento di sangue), nasce Bloomshed (spargimento di fiori): come trasformare qualcosa di violento in qualcosa di bello. Da Eternal (eterno), Eternail (Chiodo eterno, o chiodo fisso, come mi ha suggerito un’amica). Da Disengage (districare), Disenrage (districare la collera). Da Knowledge (conoscenza), Knowedge (margine della conoscenza).

Da Serpentine (serpentino) e Repentance (ravvedimento) viene Serpentance, ossia la trasformazione positiva di una persona con i freddi colori primari dell’album: dall’insoddisfazione iniziale alla sua completa realizzazione, che si ha quando accetta ed esprime ciò che è destinata a compiere. Il finale, a mio avviso, è la parte più delicata: quella che precede il silenzio “ambientale” ma non il silenzio per l’ascoltatore, poiché dentro di lui c’è ancora l’eco della musica appena ascoltata.

Perciò ho voluto accompagnare l’uscita dell’album con Endness (essenza della fine), un brano di circa 28 minuti. Un altro indizio per comprendere il significato e lo scopo dell’album è la copertina, che ricorda i test di Rorschach.

Reliever è un progetto solista: quali sono i pro e i contro (se ci sono), e quali sono le principali difficoltà incontrate nella sua realizzazione?

Siamo entrati nell’era del digitale, in cui ogni persona che dispone di un computer può realizzare la propria musica. Questo ha dei pro e dei contro: troverai ogni genere di album su internet. Non c’è bisogno di essere ricchi per poter pubblicare e condividere la tua musica, quindi è possibile farsi conoscere e magari avere qualche riscontro, senza dover pagare qualcuno.

Le difficoltà più grandi le ho incontrate nella gestione dei suoni dell’album:ad esempio cercare di rendere credibile una batteria scritta al computer; lavorare sulle sue dinamiche e sugli ambienti; districarmi con plug-ins e compressori o ultimare un mix e un master che possano garantire un ascolto su diversi dispositivi.

Un sentito ringraziamento va ad Enzo Desini. Lavorando insieme a lui con i Sonnocolla e con i Cannot nel Valkar Studio ho imparato tanti trucchi del mestiere.

Che rapporto hai con i live? Come li gestisci, essendo da solo sul palco? Pensi che il progetto possa “perdere” su un palco, mancando il supporto di una band completa?
Reliever rimane per adesso un progetto studio per diversi motivi. Dovrei trovare le persone che replicano le tracce dell’album (per niente semplici neanche per me!) e dovrei cercare di rendere i brani più fedeli possibile alla versione registrata: in alcuni momenti ci sono otto chitarre contemporaneamente, sarebbe un po’ scomodo! Comunque non escludo la possibilità di esibirmi live, prima o poi.

Oltre a suonare l’album, ti sei occupato di ogni aspetto del progetto: dalla produzione alla realizzazione dei video: consideri il “self-made” una nuova frontiera per la musica emergente?

Come dicevo, considero il “self-made” una soluzione per ogni artista di poter pubblicare la propria musica senza dover pagare qualcuno per farlo. Inoltre realizzando questi miei lavori auto-prodotti sto imparando tante cose nuove sulla produzione musicale, sulla grafica e il video-making. Anche se il processo di realizzazione mi prende tanto tempo e richiede enormi sforzi, il riscontro dei miei ascoltatori è sempre molto gratificante. Ovviamente ogni lavoro uscirebbe meglio se ci fossero diverse persone a lavorarci, ognuna si occuperebbe di una cosa differente e tutti sarebbero meno stanchi a fine giornata. Ma si fa quel che si può.

L’album si può ascoltare gratuitamente online. Credi che internet e il free download possano davvero aiutare gli artisti? Questo segnerà la fine dei cd fisici, come già è avvenuto (in parte) per i vinili?

Di questi tempi si vedono sempre meno CD fisici in mano alle persone. Non nego il mio dispiacere, ma capisco anche che si preferisca ascoltare musica gratis in streaming o comprarla a prezzo inferiore in formato digitale. Anche se io preferisco e adoro la copia fisica, il free download è un buon modo per farsi conoscere ed espandere il proprio pubblico, ma sono anche del parere che gli artisti vanno pagati, come ogni lavoratore.

Purtroppo c’è la spiccata tendenza a ritenere lavori, come il video-maker o il musicista, come attività che non necessitano di un pagamento. Ma ci sono ore, giorni di lavoro dietro a certe cose. Approfitto dell’occasione per sollecitare gli artisti a farsi pagare per il loro lavoro!

Che progetti hai per il futuro? Sentiremo parlare di Reliever a breve?

Al momento ho appena pubblicato il secondo album di ColdShade e sto già lavorando al terzo. Non nego la costante composizione di nuovi brani per Reliever e il pensiero di inserire una voce nei nuovi lavori, evolvere il genere e le sonorità. Quindi sì, sentirete parlare ancora di questo progetto. Ne approfitto per ringraziare tutti coloro i quali supportano i miei progetti e la musica indipendente in generale!

Potete ascoltare l’album Emerold qui.

A cura di Daniele Mu
Capo Redattore

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