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Storia del mastering musicale

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Il mastering di una canzone è un processo complesso, in quanto necessita di molta pratica e di un orecchio raffinato per ottenere dei buoni risultati.

Storia del mastering musicale

Il mastering in studio è stato reso possibile dall’invenzione dei registratori a bobina su nastro magnetico prima e dalla scoperta e messa in pratica della registrazione digitale poi. Infatti l’opportunità data dal fatto di poter registrare su di un supporto magnetico o digitale ha dato vita alla post-produzione di un disco. La preistoria del lavoro in studio di registrazione era quella di suonare semplicemente di fronte ad un macchinario che trasformava le onde sonore in un movimento meccanico che permetteva ad un tornio di incidere un disco. Quel disco era il master da cui poi si procedeva a copiare i dischi in vinile. Nessuna operazione di post-produzione, nemmeno di mastering, era possibile.

Buona la prima, o quasi!

La registrazione su nastro analogica o in digitale permette quindi di post-produrre una registrazione. Questa lavorazione sul missaggio originale viene appunto chiamata mastering.

Rapidamente i tecnici audio compresero l’importanza del mastering. In breve si ebbe quindi la necessità di perfezionare la procedura, e nacquero le prime sale all’interno degli studi ottimizzate per questo tipo di lavorazione. L’ottimizzazione consisteva in un ascolto di alta qualità e di macchinari specificatamente studiati per apportare modifiche al master che proviene dallo studio di missaggio.

Queste modifiche consistono essenzialmente nel modificare la dinamica e la timbrica della registrazione. A questo scopo vengono utilizzati compressori ed equalizzatori.

All’inizio l’uso dei compressori aveva un ruolo oltre che artistico anche prettamente tecnico. Infatti, prima del cd, i supporti erano i dischi in vinile e le musicassette. Questi supporti sono caratterizzati da una bassa dinamica (rapporto segnale-rumore). Ad esempio il vinile ha una dinamica di circa 60 dB. Una dinamica non sufficiente ad accogliere la maggior parte dei programmi musicali. E’ quindi necessario comprimere il materiale audio, riducendone la dinamica.

Al giorno d’oggi, la tecnologia del cd audio a 16 bit permette di avere una dinamica teorica di 96 dB. Sulla carta un valore che va oltre le migliori caratteristiche elettriche di molte attrezzature professionali da studio. Quindi l’uso che si fa oggi dei compressori in fase di studio mastering non è quello di ottimizzare la dinamica per il supporto utilizzato (a meno che non si decida di stampare un vinile!) ma di agire sulla dinamica complessiva del materiale musicale per aggiungere bellezza al suono.

Anche l’equalizzazione, se consideriamo una stampa su vinile, oltre che carattere artistico doveva essere fatta in base ad esigenze tecniche. La puntina del giradischi infatti non ha molta simpatia per le frequenze basse (soprattutto sotto i 50 Hertz). È necessario apportare modifiche in questo senso per attenuare nella giusta misura queste sub-frequenze.

Oggigiorno, considerando sempre l’ascolto di un disco tramite supporto digitale, questo non è più un problema, quindi in fase di mastering quando agiamo sull’equalizzazione ci concentriamo sulla resa sonora della musica. Ogni genere musicale pretende una certo equilibrio timbrico, e questo ogni produttore degno del suo nome lo sa e si comporterà di conseguenza.

Con l’avvento della tecnologia digitale la quantità di modifiche che si possono apportare nella fase di studio mastering sono davvero enormi. E soprattutto facilmente attuabili anche con un semplice computer munito di software audio.

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